Nel 1972, durante una conferenza all’università di Louvain (o Lovanio), in Belgio, il celebre psicoanalista Jacques Lacan venne interrotto all’improvviso da un giovane contestatore. Il ragazzo fece irruzione nell’aula, come un perturbante in carne e ossa, e iniziò a cospargere la scrivania del filosofo di acqua e farina. Mentre lo scapigliato abbozzava uno strambo discorso genericamente contestatario, infarcito di Guy Debord e «nella misura in cui» (più i secondi), Lacan non fece una piega e lo invitò anzi a continuare, proseguendo a fumare incuriosito e chiarendo plasticamente a tutti gli astanti il significato del termine francese “aplomb”. Alla lunga la ribalta annichilì il giovane nichilista il quale a un tratto, annaspando nel vuoto oratorio che s’era guadagnato, si vide costretto a un nuovo coup de théâtre e, passando alle maniere forti, cercò di rovesciare la farina in testa a Lacan. Solo allora, come recitano le didascalie, lo portarono via.
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