Archivi tag: traduzione

“Mi manda Fernanda.” Un mio ritratto della Pivano su “IL”

Avevo una ventina d’anni, studiavo letteratura americana e Fernanda Pivano non era “un mito”, ma un nome imprescindibile, sì. Non essendo ancora arrivata la sbandata per Ligabue e compagnia cantante, la traduttrice di Faulkner e Fitzgerald – che io non osavo nemmeno chiamare “Nanda”, come oggi fa chiunque abbia non dico letto Hemingway ma anche solo sorseggiato un daiquiri – era una figura di mediatrice importante, un’indispensabile traghettatrice. Interviste, traduzioni, prefazioni, curatele, articoli: non c’era bisogno di nutrire interesse nei confronti di una qualsiasi generation – lost, beat, X, chemical, whatever: comunque fasulla – per avere incrociato quel nome poco accademico e molto on the road. Fernanda Pivano aveva “occupyto” l’argomento dell’altra America, lasciando gli atenei ai colleghi blasonati. «Tenetevi le vostre cattedre impolverate», sembrava dire la ragazzina che aveva rischiato il carcere per tradurre Addio alle armi.

(Continua a leggere sul sito del Sole24Ore.)

Contrassegnato da tag , , , , , , , , , , , ,

L’estate dei barbari

Esce in questi giorni per Einaudi Stile Libero L’estate dei barbari (pp. 560, € 21), un romanzo di satira sociale scritto da Héctor Tobar e tradotto da me medesimo.

Qui la pagina di presentazione sul sito Einaudi.

Qui una recensione apparsa sul “New York Times”.

Contrassegnato da tag , , , , , ,

È uscito un libro che ho tradotto. Si intitola D’estate, l’ha scritto Tom Darling e lo pubblica Fandango.

Qui la scheda con la sinossi.

Qui una recensione di Tiziano Gianotti apparsa su D di Repubblica.

Contrassegnato da tag , , , , ,

Arrivano i Sister

È uscito un antiwestern divertente che ricorda molto i film dei fratelli Coen. Si intitola Arrivano i Sister, l’ha scritto Patrick deWitt, l’ha pubblicato Neri Pozza e l’ho tradotto io. Qui il booktrailer. Qui un’intervista all’autore.

Questa è la bandella:

Far West, 1851. Tra le illustri dimore di Oregon City svetta la grande villa di un uomo potente dai tanti intrallazzi e dalle altrettante preoccupazioni. È noto come il Commodore poiché nessuno conosce il suo vero nome e, nella sua dimora, dispensa le istruzioni per i “lavoretti” dei suoi sicari prediletti: Charlie ed Eli Sister, fratelli di sangue e di crimine. L’ultimo “lavoretto” riguarda un tipo bislacco, un cercatore d’oro chiamato Hermann Kermit Warm. Calvo, barba rossa incolta, il ventre strabordante di una donna incinta, Warm passa ore e ore nei saloon di San Francisco, pagando il whisky con polvere d’oro e dilettandosi con la stramba lettura di libri di scienza e di matematica. Il compito dei fratelli Sister è chiaro: trovare Warm e accopparlo, a mo’ di monito per chiunque si azzardi a fare quello che Warm ha osato: derubare un uomo potente. Ma l’incarico questa volta non è dei più facili. Warm sarà pure un tipo bizzarro, ma gira armato di una piccola Colt appesa a una fascia legata in vita e ha tutta l’aria di voler difendere a tutti i costi il suo soggiorno in questo mondo. La strada per Sacramento, poi, dove il cercatore ha la sua miniera, è lunga e per niente agevole. Avverando i timori di Eli, il viaggio dei Sister si rivela una vera e propria odissea. Lungo il sentiero per la California i due fratelli passano da una peripezia all’altra incontrando un sedicente dentista, una tisica tenutaria di saloon e una quantità di altri personaggi tra i più folli delle terre di frontiera.

 

Contrassegnato da tag , , , ,

Perdere alla lettera. Tradurre Gertrude Stein.

(Qualche tempo ho avuto l’onore e l’onere di tradurre un libricino di Gertrude Stein, Flirtare ai grandi magazzini, Archinto 2010. Questa è la mia breve nota alla traduzione.)

Tradurre (e forse leggere) Gertrude Stein rischia di fare venire le vertigini. Letteralmente. Seguire in originale e poi a schermo e quindi su carta, la spirale turbinosa di questo pensiero scritto genera un senso di smarrimento. Un attimo dopo subentra una sorta di stupore esilarato e infine, con la gratitudine del naufrago che rinuncia a stare a galla, un abbandono alla corrente.

Anacoluti, paronomasie, variazioni sul tema, ecolalia, rime interne, giochi: il catalogo è questo. Con una scrittrice rivoluzionaria, ardita, impavida come lei ci vuole altrettanto coraggio e sicuramente un po’ d’incoscienza. Là dove la poesia si confonde con la prosa, là dove una rosa è una parola (erosa, certo) ma anche un piccolo trattato di filosofia del linguaggio, là dove – nel beffardo rompicapo intitolato Guillaume Apollinaire – potrebbero addirittura essere rintracciabili delle vere e proprie anamorfosi interlinguistiche (non a caso, il primo verso “Give known or pin ware” nasconde proprio il nome del poeta surrealista), là si annida questo libricino potente e avanguardistico, difficile e giocoso.

Gertrude Stein è prima di tutto una interprete di flussi mentali, una pittrice di cubismi saggistici, una traghettatrice estrosa che ha preso l’alfabeto e l’ha scaraventato sulla pagina come un bambino capriccioso (eppure consapevole), buttando a mare secoli di sintassi efficace e di bello stile, per scolpire i concetti attraverso un uso ossessivo delle ripetizioni sulla pietra della pagina. Qui si è optato per una traduzione che provasse a ritrovare la sbalorditiva festosità dell’originale seguendo prima di tutto il richiamo del suono. Per dirla con una battuta che forse a lei non sarebbe dispiaciuta: anche l’orecchio vuole la sua parte o la sua arte. È possibile che Gertrude Stein incarni il sogno e l’incubo di ogni traduttore, visto e considerato che quando stai sbagliando sei nel giusto e quando imbrocchi il significato perdi il significante.

E se perdi tutto alla lettera, la lettera la prendi.

Contrassegnato da tag , ,