
(Qualche tempo ho avuto l’onore e l’onere di tradurre un libricino di Gertrude Stein, Flirtare ai grandi magazzini, Archinto 2010. Questa è la mia breve nota alla traduzione.)
Tradurre (e forse leggere) Gertrude Stein rischia di fare venire le vertigini. Letteralmente. Seguire in originale e poi a schermo e quindi su carta, la spirale turbinosa di questo pensiero scritto genera un senso di smarrimento. Un attimo dopo subentra una sorta di stupore esilarato e infine, con la gratitudine del naufrago che rinuncia a stare a galla, un abbandono alla corrente.
Anacoluti, paronomasie, variazioni sul tema, ecolalia, rime interne, giochi: il catalogo è questo. Con una scrittrice rivoluzionaria, ardita, impavida come lei ci vuole altrettanto coraggio e sicuramente un po’ d’incoscienza. Là dove la poesia si confonde con la prosa, là dove una rosa è una parola (erosa, certo) ma anche un piccolo trattato di filosofia del linguaggio, là dove – nel beffardo rompicapo intitolato Guillaume Apollinaire – potrebbero addirittura essere rintracciabili delle vere e proprie anamorfosi interlinguistiche (non a caso, il primo verso “Give known or pin ware” nasconde proprio il nome del poeta surrealista), là si annida questo libricino potente e avanguardistico, difficile e giocoso.
Gertrude Stein è prima di tutto una interprete di flussi mentali, una pittrice di cubismi saggistici, una traghettatrice estrosa che ha preso l’alfabeto e l’ha scaraventato sulla pagina come un bambino capriccioso (eppure consapevole), buttando a mare secoli di sintassi efficace e di bello stile, per scolpire i concetti attraverso un uso ossessivo delle ripetizioni sulla pietra della pagina. Qui si è optato per una traduzione che provasse a ritrovare la sbalorditiva festosità dell’originale seguendo prima di tutto il richiamo del suono. Per dirla con una battuta che forse a lei non sarebbe dispiaciuta: anche l’orecchio vuole la sua parte o la sua arte. È possibile che Gertrude Stein incarni il sogno e l’incubo di ogni traduttore, visto e considerato che quando stai sbagliando sei nel giusto e quando imbrocchi il significato perdi il significante.
E se perdi tutto alla lettera, la lettera la prendi.
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