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Il gatto di Platone e altri animali

sleeping_cat_tattoo_by_ivvi_qol-d48plnf(Qualche tempo fa mi sono messo a scrivere poesie per ragazzi. Traducevo molto e in pausa, mangiando qualcosa, mi divertivo a tirare fuori qualche rima alla Scialoja, con l’idea magari di farle leggere ai miei nipoti. Col tempo, in attesa di un illustratore e di un editore, le poesie sono rimaste lì a formare un libretto dal titolo Il gatto di Platone e altri animali e i miei nipoti sono arrivati quasi in età da rave, allora ne posto qualcuna qui.)

 

Il gatto di Platone

si fa una dormita:

ha rubato al padrone

il senso della vita.

 

*

 

Sullo stelo

per i fans

l’ape fa

lap dance.

 

*

 

L’ippopoeta nel talamo

scrive t’amo con il calamo.

E le ippopotame lo amano.

 

*

 

Il ragno nero e peloso

lo cacciavano sempre via.

È diventato pensoso

e discetta di filosofia.

 

*

 

La mosca bianca

e la pecora nera

giocano a scacchi

quando scende la sera.

 

*

 

(Il bruco innamorato)

 

Non è la polpa buona,

che cerca nella mela

ma solo un’altra volta

il tocco lieve di Eva.

 

*

 

Nella palla di vetro

dello zingaro ucraino

il pesce rosso tetro

vede il suo destino.

 

*

 

Quando il bruco

balla il tuca tuca

faticando a coordinarsi

s’intorciglia con la bruca.

 

*

 

Se il lupo luma

la luna, all’una

la luna s’allupa.

 

*

 

Il grido a squarciagola

nella vasca da bagno

della donna ignuda e sola

attende, bieco, il ragno.

 

*

 

Risale il salmone

tra una rapida e un sasso

per guardare il tonno

dall’alto in basso.

 

*

 

Il gatto

di Matisse

dipinge con

le sue vibrisse.

 

*

 

Quando gli si rompe il radar

al pipistrello resta il tavor.

 

 

 

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Hai ragione: sono uno

sbadato. Ma la questione

non è smarrirti nel passato.

Il disastro, te lo assicuro,

è che il tuo ricordo

si è perso nel futuro.

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All’amica distante

Me la vedo adagiata mentre legge

(senz’altro qualche russo, esiliato

o fuorilegge) vestita come tutte le altre

sere: sigaretta light e mutandine nere.

 

Avrà in mano Majakovskij? o Fuga da Bisanzio?

o poesie della Valduga? Ahi, queste

le danno un languore, un’indolenza…

Quelle mutandine strette? Si può

certo fare senza. L’amica pensa a me,

lontano. Al posto di Iosif Brodskij,

ci vorrebbe la mia mano.

 

Insomma dai, in quel piccante

frangente, il libro galeotto ha poco senso,

lo vedo scivolare e cadere

lentamente. Tocca alla letteratura

delle dita lente.

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A un angolo di strada

il sorcio albanese svicola

e scantona imbacuccato

nella propria antipatia.

Due bottoni per occhietti,

la coda fra le gambe:

la paura è una cicca scroccata

sul fondo della tasca.

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Con una biro nera

ho unito i nei

sulla tua schiena.

C’era la scritta:

“Solo la mia bellezza

eguaglia la tua pena”.

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Tutti i giorni all’una

nel tepore invernale

del bar alluna il candore

tremolante di un’egra

megera, vecchietta-giacometti

tutta fil di ferro. Ordina un’unica

coppa di bianco bollicine

glu glu glu bevuta

che pare infinita. Giù,

tutta d’un fiato. La vita.

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Nel tratto del silenzio

cerco il tuo autoritratto:

la trasparenza dell’assenza.

Trovo la materia al tatto,

la sudicia consistenza

di uno straccio.

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Le mie parole ti bagnano:
a fior di labbra come
l’acqua languono e
modellano il tuo angolo
di corpo. Sei la sponda
sulla quale l’onda
della lingua scivola.
Le mie parole ti amano
timida, lasciva.

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