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Charles Bukowski, Un gran bel picnic

bukowski(Stasera alla librerira Gogol&Company di via Savona, Milano, intorno alle sei/sei e mezza leggerò qualche poesia di Charles Bukowski. Tra queste, quella ricopiata qui di seguito, tratta da Love Is a Dog from Hell 1974-1977, raccolta riproposta in Italia da Guanda con il titolo L’amore è un cane che viene dall’inferno, traduzione di Katia Bagnoli. La traduzione di questa poesia è mia.)

 

mi torna in mente

che mi sono accasato con Jane per sette annni

era un’ubriacona

l’amavo

 

i miei genitori la odiavano

io odiavo i miei genitori

eravamo un bel

gruppo

 

un giorno siamo andati a fare un picnic

insieme

su in collina

e abbiamo giocato a carte e bevuto birra e

mangiato insalata di patate

 

l’hanno trattata come se fosse un essere umano

una buona volta

 

tutti ridevano

io no.

 

più tardi a casa mia

strafatti di whisky

le ho detto:

non mi piacciono

ma è bello che ti abbiano trattata

bene.

 

idiota, ha risposto lei,

non hai capito?

 

capito cosa?

 

continuavano a fissarmi la panza alcolica,

pensano che sono incinta.

 

ah, ho detto, allora brindiamo al nostro

bel bambino.

 

al nostro bel bambino,

ha detto lei.

 

e ce li siamo scolati.

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Memorie di un fallito – IL

BeRkbZeIYAA0zaC(È uscita per IL, il magazine del Sole24Ore, una mia recensione in anteprima del memoir di Gary Shteyngart, Little Failure, in uscita per Guanda a settembre. Qui il booktrailer di cui si parla nella recensione e qui la recensione di Michiko Kakutani per il New York Times.)

Un celebre incipit, nella traduzione di Paolo Crepet, sermoneggia: «Tutte le famiglie funzionali si assomigliano. Ma ogni famiglia disfunzionale è disfunzionale a modo suo». L’esatto contrario dei memoir sfornati dal mercato editoriale, che sono tutti disfunzionali e si somigliano alla nausea. Ingredienti: 55% trauma e 5% trama, 15% sfiducia radicale nella famiglia e 15% fiducia ossessiva nella famiglia, 5% perdizione e 5% rinascita, più un pizzico di sesso malato. Inoltre un memoir, a differenza dei più compiuti romanzi incompiuti, deve avere un lieto fine, altrimenti non saresti arrivato a scriverlo e perderesti quella fetta di pubblico disposta a scucire 20 euro per credere di riuscire a disintossicarsi, grazie a una parabola che si vorrebbe sincera, dalle slot disseminate nei bar, dalle chat di Facebook oppure, più semplicemente, dal crack. A ogni modo la ferita è centrale. Deve esserci un prima e un dopo grazie al quale dare un senso a questa cosa anarcoide che chiamiamo esistenza. Definito lo spartiacque, sarà più facile non solo tirare a campare ma anche tirare giù una scaletta per scrivere.

E invece nel quarto libro di Gary Shteyngart…

(Continua a leggere sul sito del Sole24Ore)

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