Com’è che la gente quando parla di me va fuori di testa?», sbottava Bob Dylan in un’intervista. Certo, sebbene una volta lui e la prima moglie si siano svegliati con un uomo ai piedi del letto che li fissava incantato, gli manca un Mark Chapman. Ma non esiste personaggio della cultura rock che abbia attirato folle di sbiellati e visionari quanto l’autore di Like a Rolling Stone.
I dylaniati – ossia, gli schiantati di un culto dilaniante – trasformano psicolabili come gli springsteeniani e gli onedirectioners in imperturbabili savi. Ogni suo fan tende a essere come quello che gli disse: «Io so tutto di te, ma tu non sai niente di me». Per una volta, la risposta di Dylan non fu sibillina: «Lasciamo le cose così». Ora un libro del giornalista David Kinney (The Dylanologists, Simon&Schuster) ne ripercorre le tipologie, tracciando in filigrana una storia della sua vita e della cultura americana. Che cos’è Dylan? Un buco nero, un’anamorfosi vivente, un enigma insolubile? Ecco un catalogo ragionato della patologie che scatena.
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