Archivio mensile:ottobre 2016

Eggers, il romanzo come presente

9780451493804_custom-5de66a6fa551233924bf67147a4c5a9211fdf8e6-s400-c85Il grande spazio americano è da sempre un luogo della mente, il territorio che terrorizzò e affascinò i pellegrini, quindi i pionieri e poi i dropout. Il ricorso alla natura intatta è un filo rosso: la conquista del West raccontata dal cinema; il battesimo delle parole operato da Whitman lungo la sua “open road”; il ritorno al fiume dopo la guerra del Nick Adams di Hemingway; l’ubriaco vagabondaggio dei beat; la pacata esplorazione di William Least Heat-Moon; lo squilibrato isolamento di Into the Wild. La wilderness, appunto, parola chiave fin dai primi testi, è insieme attrazione per l’ignoto, terra di conquista, ma anche fuga dal mondo e dalle responsabilità, una dicotomia che attraversa tutto il novecento americano, e se di terra desolata non ne resta granché ecco l’evasione verso l’avamposto a nord, la quasi Russia e quasi oblio – come si dice qui – che è l’Alaska.

È quello che accade nel nuovo, corposo romanzo di Dave Eggers, Heroes of the Frontier. Una madre in crisi sentimentale e lavorativa chiude baracca e burattini per scappare insieme ai due figli dal marito e dalla causa legale che l’ha spinta a vendere lo studio dentistico, puntando verso una terra che reputa incontaminata e in questo salvifica. È in crisi di mezza età, beve tanto e nutre uno spaventoso senso di colpa per la morte di un ragazzo finito in Afghanistan dietro suo consiglio. Lì al nord ha una specie di sorellastra, noleggia un camper scassato e, sebbene il paese sia devastato dagli incendi, lo attraversa in cerca di qualcosa che non riesce a definire. Un nuovo inizio, la felicità, la stabilità? Tutto questo e molto meno. Cerca qualcosa o qualcuno di sostanza, dice. Troverà personaggi strambi, scenari inaspettati, brutti incidenti. E poi confusione, dispersione, scombussolamento, ossia tutto quello che già alberga nella sua testa e nella sua famiglia. “Forse è questa la causa di tutte le nevrosi moderne, pensò lei, il fatto che non abbiamo identità stabili, non abbiamo certezze.” Si torna al punto di partenza: “Venivano dal nulla. Essere americano significa esser vuoto e un vero americano è completamente vuoto. Di conseguenza, tutto sommato, Josie era una vera grande americana”.

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Umorismo involontario

unknownSu cosa sia l’umorismo si arrovellano da secoli e ancora non sono arrivati a una risposta. Reazione al dolore? Aggressività verso il mondo? Antidoto al fanatismo? Cinismo, crudeltà? O al contrario: empatia, amore? È intelligenza? È una cosa stupida (il riso abbonda sulla bocca degli umoristi)? È lecito, è sbagliato (pensiamo al dibattito di questi mesi su Charlie Hebdo)? È sano, è malato? L’umorismo è umorale, immorale, amorale? Facci ridere, c’è ben poco da ridere, tu ridi. Forse è tutte queste cose, ma poi è tanto doveroso fornire una definizione? Analizzare l’umorismo è un passatempo per persone prive di umorismo, pare abbia detto Robert Benchley (non so chi sia, ma suona bene). Non solo: è mai possibile classificare qualcosa di così elusivo, dipendente dal carattere personale e nazionale, dalla lingua e dal contesto, dal periodo storico e da quello individuale, dai costumi e dalle epoche, dalle latitudini e dalle abitudini? Un uomo scivola su una buccia di banana e nessuno ride o forse tutti o forse solo qualcuno. Sono riusciti a definire Dio, scriveva Umberto Eco, ma questo ancora non si può spiegare. Che ridere.

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