(Ho recensito il nuovo romanzo di James Hannaham su IL – magazine del Sole 24 Ore, prendendo a prestito la voce di un suo personaggio.)
Ciao, mi chiamo Scotty e questa storia la racconto io. Cioè, non proprio tutta. Di una parte s’è occupato ‘sto tizio che si chiama James Hannaham, un tipetto nero – ops, afroamericano. Sul suo sito si definisce «autore, artista concettuale part-time, scrittore o qualcosa del genere. Forse romanziere, ma anche giornalista, insegnante e performer saltuario… Che ne so? Specialista della prosa?». Ecco, ce l’hai presente? È il tipo di falsa modestia che cerca di evitare la spocchia: niente manina sul mento, niente aria seriosa. Uno si definisce «specialista della prosa» e finisce col diventare «specialista della posa», involontaria. A furia di modestia, diventi uno scrittore modesto. Ma non è questo il caso. Ho la lingua sciolta, lo so. Tutta colpa di Hannaham (sì, sono un suo personaggio, più o meno, ma esisto da sempre) (sì, “Scotty” è un espediente) (no, non ve lo dico chi sono). Comunque, ‘sto ragazzo scrive bene e se non vi fidate di me, ché pure sono una persona di sostanza, potete credere a Jennifer Egan. Qualche parola a caso del suo parere: “avvincente”, “toccante”, “urgenza”, “libertà”, “sopravvivenza”. Roba buona per voi democratici. Come Dave Eggers. Sentiamo il suo: «Un libro di stupefacente –hey, Dave: are you talkin’ to me? – originalità e potenza». Oh, mica hanno torto questi succhiotti che nell’editoria un tempo chiamavano soffietti.
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