Premessa. Faccio il traduttore, scrivo articoli, lavoro nell’editoria e ogni tanto pubblico un libro. L’ultimo è uscito qualche mese fa senza clamore (è un eufemismo).
È pomeriggio. Sono a casa a tradurre quando mi arriva una chiamata da un numero sconosciuto.
“Ciao, siamo di G’Day. Presente?”
Ho un momento di esitazione – un ciclo Maya, per loro – che mi smaschera.
“Fa niente, vorremmo invitarti a parlare del tuo libro.”
In radio? penso. Che bello.
“Va bene!”
“Ti richiamiamo.”
Mettono giù, googlo il nome del programma e scopro l’arcano. Non sono così snob, ma conoscevo il programma di Geppi Cucciari come “il programma di Geppi Cucciari”.
Sono così emozionato che riprendo a tradurre.
Seconda telefonata.
“Ciao, siamo di G’Day. Presente?”
“Sì!”
“Ottimo. Sarà un’esterna a Sesto San Giovanni, c’è un campo d’atletica. Siccome siamo in contemporanea con il Salone del Libro, noi allestiamo un… salottino! Facciamo il lancio… del libro! Cioè lo lanciamo… davvero!” I puntini di sospensione, come quelli esclamativi, sono suoi. “Tu non devi fare niente. Ci sarà un lanciatore del disco. Voi fate la vostra promozione.”
La parola “promozione” viene pronunciata così tante volte da smarrire il significato primario per trovarne uno osceno, come “ionico” alle elementari sulla bocca dell’amica sprovveduta. Ad ogni modo la faccenda mi rassicura. Mi sono esibito in poetry slam, fight reading, pugilati letterari e una volta ho perfino letto una poesia di Leopardi in biblioteca. Però, come dire, sapevo a cosa andavo incontro.
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