Archivio mensile:gennaio 2012

Le mie parole ti bagnano:
a fior di labbra come
l’acqua languono e
modellano il tuo angolo
di corpo. Sei la sponda
sulla quale l’onda
della lingua scivola.
Le mie parole ti amano
timida, lasciva.

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“Una beffarda lapidarietà.” Michele Lupo, Il Paradiso degli Orchi.

(…) La parodia, modalità stilistica che oggi non gode di grandi apprezzamenti da parte della critica, salvo dimenticare che l’ottanta per cento dei romanzi italiani in circolazione sono involontariamente parodistici, nel libro di Rossari mostra come, nelle mani giuste, possa “dire” senza parere cose mica così frivole. (…)

(continua a leggere sul Paradiso degli orchi)

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Il parco polimorfo delle creature letterarie. Cristiana Saporito, Flanerì

C’era una volta un paese lontano, tra gli infissi dell’ultimo cielo. E lì viveva un omino, schiacciato dal peso di troppe parole, che per non soffocare doveva per forza appoggiarle su un foglio. Farle sgorgare per liberarsene un po’. Potrebbe essere un ottimo inizio, forse. Ma non è quello di questo libro.

L’ispettore si chinò sul cadavere. Lo vide straziato, come se ancora soffrisse, come se stesse tremando dell’ultima frase, dipinta sui muri, increspata nei biglietti che non spedì mai. Anche questo potrebbe convincere, sempre forse. E comunque non è il nostro caso.

E allora qual è il vero avvio? Come comincia la nostra storia?

Continua a leggere l’articolo su Flanerì.

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The Kappler Inside You

Sono in un bar a mangiare un panino. Una gestione alla buona, padre e madre con i due figli. Molte discussioni di calcio, pochi giornali (al massimo, free-press).

Nel classico film ambientato durante la seconda guerra mondiale si vede la visita inaspettata della Gestapo a casa del cittadino sospetto.

Passa vicino ai tavolini fuori uno zingaro che chiede di accendere a un cliente. Il figlio più grande lo intravede, si pietrifica e lo guarda male. Un attimo dopo alza una mano e gli fa il caratteristico segno di andarsene.
“Lo vedi questo? Vuol dire smammare.”
Lo zingaro, che comunque non sembrava interessato a restare e ha scroccato una cicca, si avvia.

Nel classico film ambientato durante la seconda guerra mondiale il gelido aguzzino si aggira per la casa, chiacchiera serafico del più e del meno, finché a un certo punto non solleva una botola o non sfonda una porta.

Il figlio, che ha ancora la mano alzata, cambia la posizione delle dita. Le stringe in un pugno e fa andare su e giù il pollice. “E questo vuol dire che ti brucio.”
Quindi tocca al padre.
“Sì, dai: apri il forno che lo mettiamo dentro.”
Lo ripete quattro o cinque volte.

Nel classico film ambientato durante la seconda guerra mondiale all’improvviso vediamo dieci o venti ebrei stretti gli uni agli altri in silenzio che tremano.

Mi è capitato di leggere sui blog e sui giornali di situazioni simili, in cui il nazismo irrompe nel quotidiano nella maniera meno aspettata e ho sempre pensato che fossero resoconti esagerati. “Avranno colorito la cosa.” Adesso sono qui.

Ma è un attimo: la madre capisce che non è aria e minimizza, cercando di mettere a tacere il marito. Un secondo dopo tutto torna alla normalità. Panini, piastre, bottigliette d’acqua, trilli di cassa, cosa ha fatto l’Inter?

Nella casa di questa famiglia, invece, si nasconde il nazista. Silenzioso, tenace, deciso a sopravvivere.

 

(Questo brano è stato pubblicato originariamente sul blog collettivo http://www.ilprimoamore.com)

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Veronesi chi? Maria Serena Palieri, l’Unità

L’ultimo in ordine di tempo è Sandro Veronesi che a fine novembre, all’uscita per Voland di Un anno nero per Miki di José Ovejero, pubblicato in Spagna nel 2003, si è visto sospettato di averlo copiato in Caos calmo, uscito nel 2005. Veronesi ha obiettato con un argomento incontrovertibile: lui non conosce lo spagnolo, quindi non può aver né letto né copiato Ovejero. Basta per dissipare radicalmente il dubbio? In una società potenzialmente paranoica e che conserva eterna memoria di tutto, com’è la nostra tenuta insieme da internet, il tormentone del plagio ha facile corso. Se ciò che muove ad accusare è il desiderio di essere plagiati, cioè di essere noti, letti, amati… Marie Darrieussecq, che in questa accusa è incappata, ha dedicato al tema il suo ultimo libro Rapporto di polizia (Guanda), dove effettua un’interessante analisi dei concetti di «io» e «l’altro» (alla base della questione). Ora è Marco Rossari, in un libro in uscita per e/o, L’unico scrittore buono è quello morto, a planare sul tema. Perché il suo libro consiste in una spericolata e divertente operazione: cosa succederebbe ai grandissimi scrittori del passato se provassero a pubblicare oggi? E, per un Kafka che si aggira in un mondo dove l’aggettivo «kafkiano » è il più gettonato, per un Joyce che insegue le ubbie dell’editore e, dopo i «piatti» racconti dublinesi si inoltra nel troppo «mitologico » Ulisse per naufragare in Finnegans wake (e morire senza aver pubblicato nulla), c’è uno Shakespeare a processo. Perché, appunto, ciò che per secoli è stata la «fonte» di alcuni capolavori (un mito,untesto classico) oggi diventa un testo «plagiato». Il W.S. di Rossari obietta: «Ma io ci ho messo la poesia». E il giudice: «È proprio per questo che vi condanniamo ».

(Questo articolo è uscito sull’Unità del 13 gennaio 2012)

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La creatura è libera

Esce oggi la creatura. Si trova in tutte le librerie. Cominciano già ad arrivare le prime recensioni, che metterò mano a mano qui. Intanto questo è il risvolto:

“Cosa accadrebbe se a James Joyce venisse rifiutato ogni libro? E qualora Tolstoj fosse ospitato in radio a Roma, per ascoltare il parere di Ilaria da Foggia, come reagirebbe? E se William Shakespeare finisse alla sbarra con l’accusa di plagio? Sono solo alcuni dei ritratti paradossali che questo libro ha in serbo per il lettore.

Con una prosa scanzonata, L’unico scrittore buono è quello morto illumina splendori e miserie del mondo letterario, senza risparmiare i mostri sacri. Autori e lettori, editori e traduttori finiscono in un frullatore di racconti e storielle che miscela una metafisica Praga ribattezzata Kafkania (dove i bordelli si chiamano “Il castello”, “La condanna” o “La colonia penale”) con una San Francisco iperletteraria dove vagano i sosia dei beat, uno scrittore beone alle prese una lettrice assatanata e un poetastro in gara nel poetry slam più sgangherato della storia.

Una parodia esilarante per aspiranti scrittori e lettori sgamati, che snocciola un’indimenticabile carrellata di personaggi afasici, perduti, smarriti nel tragicomico labirinto delle lettere. Un libro per tutti quelli che vogliono scrivere e per chi li farebbe fuori volentieri, ma anche un grande atto d’amore per la forza della parola.”

Ora, come si usa dire, non è più mio.

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La quarta della creatura

 

 

 

 

 

 

 

 

Parola di scrittore / 1 Io non scrivo, io pubblico.

C’era uno scrittore che scriveva solo cose vere, ma tutti gli chiedevano cosa c’era di inventato. Non appena passò a scrivere cose inventate, tutti cominciarono a chiedergli cosa c’era di vero.

Parola di scrittore / 2 Io non pubblico, io scrivo.

C’era uno scrittore che, ancora prima di concepirlo, scriverlo e pubblicarlo, aveva dedicato il libro alla fidanzata. “L’ho dedicato a te, amore” le disse. “Davvero, zuccherino?” domandò lei, commossa. E vissero per sempre felici e inediti.

Parola di scrittore / 3 Io non scrivo, io vivo.

C’era uno scrittore che aveva letto un solo libro, il suo. E gli era bastato.

Parola di scrittore / 4 Io non vivo, io scrivo.

C’era uno scrittore che considerava la letteratura finita, anche perché non leggeva mai un libro.

Parola di scrittore / 5 Io non pubblico, non scrivo e nemmeno vivo. Sto bene, infatti.

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La copertina della creatura

 

 

 

 

 

 

 

 

In uscita il 18 gennaio.

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